TdG - Talenti, team privati, e Squadre nazionali
di Luigi Grasscutter
Ci sono atleti/e che cominciano da children con un team privato e continuano così fino alla WC.
Non sono la regola, ma queste eccezioni diventano talvolta il paradigma della ‘costruzione di un atleta’.
Se questo atleta vince per svariate volte la Coppa generale, le Olimpiadi ed i Mondiali, la tentazione per giovani atleti che possono permetterselo è quella di applicare il sistema, sperando in risultati analoghi o non troppo distanti.
Ci sono, poi, i team che raccolgono atleti non convocati nelle Nazionali più importanti (austriaci, svizzeri, anche qualche italiano) ed atleti che ‘non hanno’ una Nazionale, perché belgi, olandesi etc
Anche in questo caso, i risultati sono di solito buoni: atleti rinati ed atleti che, dopo anni di discreti risultati, si affacciano infine nel circuito maggiore, la WC, con piazzamenti dignitosi.
Da queste considerazioni, che sono una premessa, nasce una domanda: hanno senso, e se sì quale, le squadre Nazionali?
Noi rispondiamo che hanno senso, e per tre ragioni.
In primo luogo, la squadra Nazionale è un DOVERE dello Stato. Non si può lasciare all’iniziativa privata l’intero onere (ed onore) di tenere alta la bandiera dell’Italia: è l’inno di Mameli ad accompagnare l’emozione del vincitore sul podio, non una canzone di Sanremo.
In secondo luogo, nella Nazionale, come in qualsiasi team, si creano dinamiche relazionali utili alla crescita di tutti: atleti ed allenatori imparano ogni giorno gli uni dagli altri, in un’osmosi continua.
In terzo luogo, ma non per importanza: per un atleta allenarsi con un compagno di squadra molto dotato, diciamo un talento di prima grandezza, è utile per due motivi.
La prima: avere un riferimento cronometrico di assoluto rilievo significa sapere quanta strada si deve ancora fare per arrivare al vertice.
È tuttavia il secondo motivo ad essere più rilevante: avere un campione (o un futuro campione) al proprio fianco serve per far comprendere che i campioni mangiano nello stesso modo, hanno un corpo, si divertono nello stesso modo, hanno le stesse paure, gli stessi sogni, si fanno la doccia come tutti, a volte sbagliano, e cadono come gli altri.
Insomma, avere un campione accanto serve a ‘farcelo vedere’, e ciò attiva dei processi emozionali fondamentali.
Si dice ‘se puoi pensarlo, puoi farlo’, ed è vero.
Io aggiungo ‘se lo vedi in carne ed ossa, sai che è di questo mondo’.
Detto ciò, di campioni ne nascono pochi, e questo è un fatto: lo sport di alto livello, tuttavia, non è fatto solo dai fenomeni assoluti (Hirscher, Pinturault etc).
Dietro a questi, e non ad anni luce, ci sono buoni o buonissimi atleti che fanno a volte un podio, una top 10 o qualche top 30: parliamo, anche in questi casi, di eccellenze sportive: gente che frequenta la WC per dieci anni con buoni risultati, cioè atleti di livello.
Che spesso, o quasi sempre, sono cresciuti guardando un campione, vedendo che più o meno respira come gli altri, che più o meno vive la stessa vita.
Ogni giorno lo hanno ammirato ed hanno sperato, invano, di poter essere come lui, non riuscendoci mai, ma migliorandosi.
Un’ultima considerazione sulle Squadre nazionali: ogni gruppo deve essere un team, deve funzionare come un team, prendendo anche spunto dai team privati.
Le idee circolano, e sulle idee non c’è il copyright. Casomai, a volte, il copyright copre il prodotto di queste idee.